Karima e Dino

“Pronto?” “Sì, ciao, ti chiamo contenta
di vivere ancor dopo il volo
dal secondo piano di casa, spinta
dall’ex. La caduta al duro suolo
ha compromesso, non dico per finta,
la memoria breve e la vista (solo
dall’occhio destro). Ancora fatico
a parlare e non ricordo che dico.
L’incidente quasi mi ha uccisa,
ora, dopo il coma, cronico sento
un ronzio in testa, sono indecisa
e il mio passo è zoppo e lento;
spesso sto zitta in maniera improvvisa
come se il cervello fosse spento.
Eppure in Marocco avevo studiato,
una laurea avevo conquistato.
Ciononostante la vita continua,
a questo credo con cieca fermezza
e quando qualcuno il contrario insinua,
m’incazzo tanto dalla tristezza.
Sì, ho un’esistenza discontinua,
ma ancora il vento accarezza
lieve il mio viso e, più di prima,
sarò sempre la cocciuta Karima.
Scusami, ti racconto tutto così
di fretta e all’improvviso perché
ho finalmente trovato casa qui
con Dino, il mio uomo attuale, che,
chiamato dal dottore mercoledì,
mentre metteva per terra il parquet,
ha saputo d’un cancro ai polmoni
da togliere presto senza obiezioni.
Abbiamo quindi bisogno di aiuti
per sostituire la vasca da bagno
con una doccia dove star seduti.
Servirebbe anche che l’antibagno
avesse un paio di muri abbattuti
dove passare io e il mio compagno.
Abbiamo finito i soldi da parte
con le spese d’ingresso e le carte,
non ne abbiamo più per questi lavori
indispensabili. Io adesso non riesco
a scavalcar la vasca coi dolori
alle gambe ed è rocambolesco
come Dino provi, stando di fuori,
a sorreggermi e aiutarmi quando esco.
Diventa ogni giorno più debole
e per le cure poco socievole.”
“Karima, mi spiace tanto sentire
una vicenda così farabutta;
il nostro contributo può coprire
anche quelle spese, ma occorre tutta
la documentazione da riempire
sulla ristrutturazione. La brutta
notizia è che, insieme alle fatture,
serve il resoconto delle cure.
Non credo sia allegro per entrambi
rivangare quel che state vivendo;
vi sembreranno sistemi un po’ strambi,
ma per ottenere, a dio piacendo,
quello che chiedete, frequenti scambi
dovremmo avere, anche s’è tremendo.”
“Sì, Mario, abbiamo tutti preventivi
e i referti medici. Quando arrivi
ti do tutto. Se va bene, Romeo,
vederci martedì, ho una visita
di mattina presso il Giubileo,
l’ospedale. Ti offro una bibita.”
“Grazie, bene, ma mi chiamo Matteo.”
“Perdonami, la testa mi limita.”
“Tranquilla, martedì t’aspetto fuori
dopo l’esame, in via dei Fiori.”
“Ciao Karima, io sono arrivato
dove c’eravamo detti, dove sei?”
“Sono ancora alla clinica Oculato,
aspetto la dottoressa.” “Ah, mm, ok.
Allora sono nel posto sbagliato,
non avevo capito, quindi direi
che ti raggiungo lesto in bicicletta,
ci metto un quarto d’ora, faccio in fretta!”
“Ho finito. T’aspetto seduta al bar
tra la via dei Fiori e il corso grande,
all’angolo con quel negozio-bazar
gigante che ha pure le mutande
coi brillantini dorati da rockstar.”
“Ah ah ah, sì, prendi due bevande.
Ma sei al Giubileo? M’avevi detto
che stavi ancor nella sala d’aspetto
dell’altro ospedale.” “Ah, per davvero?
Ti prego Andrea perdonami tanto,
faccio casino, ho il cervello nero:
i nomi, le cose, le strade… Santo
dio, scusami.” Era tutto vero:
quando finalmente le fui accanto
a bere un orrendo caffè amaro,
la nebbia intorno parve condensarsi
nei capelli insieme raccolti e sparsi.
Firmò la ricevuta, chiesi l’iban,
mi consegnò un’enciclopedia
come referto e la fattura di Ivan
con il dettaglio della miglioria
al bagno. Sul muro vidi uno slogan:
“Basta con sfratti, fascisti e polizia!
I palazzinari son gli stranieri,
lotta e solidarietà nei quartieri.”
“Come Mattia? Tutto bene?” chiese,
“Sì, scusami, allora siamo a posto:
chiama se saltano fuori altre spese”.
“Va bene, grazie: ciao!”. Di nascosto
con lo sguardo la seguii finché prese
il tram, poi in sella lungo il viale opposto.
Mario, Mattia, Romeo e Andrea:
che può far un nome in tal epopea?