Diario di bordo dal Mare di Cortez - Dispaccio #7
Indice dei contenuti
Introduzione #
La curiosità di leggere questo libro nasce da un articolo del Post di Giuseppe Notarbartolo di Sciara, ecologo marino che negli anni ‘80 ha scoperto una nuova specie di manta proprio in quel mare della California del Sud, in Messico.
È il primo libro di Steinbeck che ho letto e, confesso, l’ho un po’ trascinato - è in lettura dall’agosto 2024. Le prime 90 pagine sono un ritratto funebre veramente folgorante del biologo Ed Ricketts, morto improvvisamente in un incidente, e del rapporto di amicizia che li ha accompagnati per quasi vent’anni; il resto del libro raccoglie il resoconto del viaggio, insieme a un equipaggio piuttosto scalcagnato.
Il Diario esce negli anni ‘40 del Novecento, quando l’ecologia era ancora un concetto astratto e poco conosciuto, e non tanto nello stile, quanto nei costumi che descrive, mette in evidenza una certa noncuranza rispetto alla tematica del benessere animale e dell’attenzione all’ecosistema nei termini in cui siamo abituati a parlarne oggi. Per quanto Steinbeck ci provi a mostrare una certa sensibilità sincera (un secolo fa organizzare un viaggio di studio e raccolta come quello dimostrava, oltre a una buona dose di voglia di avventura, un’attenzione particolare al mondo circostante) alcune situazioni e scene rimangono difficili da digerire in maniera totalmente indolore come appaiono. Qualche citazione aiuta a capire quello che intendo, per esempio quella sullo squalo cornuto del Pacifico (Heterodontus francisci) e della pesca a strascico.
Pagina 116 - Il capitano Tony #
Parlavamo con Tony, il capitano e proprietario a metà del Western Flyer, ed eravamo sempre più soddisfatti delle sue abilità. Aveva gli occhi neri e sognanti di uno slavo e il naso aquilino di un dalmata. Parlava o rideva assai raramente. Era alto, magro e molto forte. Provava grande disprezzo per le apparenze. A terra gli piacerva indossare un cappotto di tweed e un vecchio feltro, come per dire: “Mi porto il mare in testa, non sulla schiena come fanno quei dannatissimi tipi con lo yacht.”
Tony ha un grande passione; ama l’esattezza e odia l’inesattezza. Ritiene che la meditazione sia una totale perdita di tempo. Con nostro grande disappunto, e qualche perdita finanziaria, scoprimmo che Tony non parlava mai se non era completamente sicuro di aver ragione. Scommettere con lui era inutile e discutere impossibile. Se non fosse stato sicuro di avere ragione, non avrebbe aperto bocca. Ma quando sapeva esattamente e diceva il vero si infuriava per la falsità che sovente gli veniva contrapposta. Per lui l’imprecisione era una scandalosa ingiustizia, e quando se la trovava davanti, si poteva star sicuri che si sarebbe messo a urlare e avrebbe perso la calma. Ma l’esattezza della sua affermazione non era un trionfo personale. Un perfetto giudice, che odia i furti, non prova alcun senso di trionfo quando pronuncia una sentenza contro un ladro, e Tony una vola stabilita una verità ed estirpata una falsità, si sente bene, ma non di certo virtuoso. Si ritira borbottando un po’ tristemente di fronte alla stupidità di un mondo che può concepire un’inesattezza e per un attimo anche difenderla. Ama la sagola per lo scandaglio perché le sue tacche esprimonoo una verità, ama le carte nautiche della marina; e prima del nostro viaggio ammirava il Portolano. Il Portolano non riportava errori, ma molte cose erano cambiate dal suo ultimo aggiornamento, e Tony si sente a disagio di fronte ai fattori variabili. Tutto il relativismo della fisica moderna era per lui una oscenità e si rifiutava di averci a che fare. Paralleli, bussole e le buone carte della Marina, queste erano le cose di cui si poteva fidare. Un cerchio è esatto e una direzione è stabilita per sempre, una splendente linea dorata attraverso la mente. In seguito, tra i miraggi del Golfo, dove la distanza visiva è una questione altamente variabile, ci domandammo se le certezze di Tony crollassero. Non sembrava. Le sue doti lo rendevano un buon capitano. Non correva rischi che potevano essere evitati, dato che la sua barca, la sua vita e le nostre non erano cose da nulla.
Pagina 185 - La barriera corallina di El Pulmo #
El Pumo è stata l’unica barriera corallina che abbiamo trovato nel corso dell’intera spedizione, e la fauna e persino le alhe si erano molto adattate al luogo. È impossibile che venga battuta da una risacca molto forte dal momento che animali estremamente delicati vivono sulla superficie superiore, molto esposta e sulla quale sarebbero senz’altro stati schiacciati o spazzati via i casa di mare molto impetuoso. E la lotta per la sopravvivenza era altrettanto dura quanto a San Lucas, ma a noi è sembrato che qui venissero impiegati metodi diversi per frustrare il nemico. Mentra a San Lucas la velocità e la ferocia erano gli attributi più evidenti della maggior parte degli animali, a Pulmo erano più diffusi il mascheramento e il camuffamento. I piccoli granchi portavano maschere di alghe e così pure i biozoi e persino gli idrozoi, e la maggior parte degli animali disponeva di piccole gallerie o di qualche luogo riparato in cui correre a nascondersi. Questo era possibile grazie alla morbidezza del corallo, mentre il granito duro e levigato di Sal Lucas non lo permetteva. Molte volte abbiamo avvertito la mancanza dell’attrezzatura subacquea, ma come a Pulmo, dato che la parte inferiore della barriera, dal lato della spiaggia, celava meraviglie indistinte a cui non siamo potuti arrivare. Trattenere il fiato e guardare a occhi nudi attraverso le cque oscure non era sufficiente.
Pagina 205-206 - Il pericolo del biologo #
È difficile, osservando queste bestiole, non ravvisare dei parallelismi con gli esseri umani. Il pericolo maggiore per un biologo con tendenza alla speculazione è proprio l’analogia. È una trappola da evitare: l’industriosità delle api, l’economia delle formiche, la malvagità dei serpenti, trasposte in termini umani ci hanno dato una concezione profondamente errata degli animali. Ma le analogie sono divertenti se non vengono prese troppo seriamente per quel he riguarda gli animali in questione, e sono invece decisamente valide per quel che riguarda gli esseri umani. L’alternarsi ciclico del predominio costituisce un buon esempio al proposito. Possiamo pensare all’essere umano affermato e in posizione di predominio, che si è impossessato del luogo, della proprietà, e si è garantito la tranquillità. Questi domina la propria area. Per difenderla, ha poliziotti che lo conoscono, e che dipendono da lui per guadagnarsi da vivere. È protetto da abiti buoni, case buone e buon cibo. È anche immunizzato contro le malattie. Si potrebbe dire che è al sicuro, che avrà molti figli e che il suo seme si spargerà per il mondo in breve tempo. Ma nella sua lotta per il predominio ha allontanato gli esseri della sua specie che non erano particolarmente adatti a dominare, e forse questi sono diventati dei vagabondi coperti di abiti inadatti, mal nutriti, senza alcuna tranquillità e alcuna base fissa. Questi ultimi dovrebbero in realtà morire, ma sembra essere vero il contrario. L’essere umano che predomina, nella sua sicurezza, diventa privo di vigore e timoroso. Trascorre molta parte del suo tempo a proteggersi. Lungi dal riprodursi rapidamente, ha meno figli, e costoro hanno una insicurezza interiore determinta dal fratto che sono troppo protetti contro il mondo esterno. I magri e gli affamati crescono forti, e tra i più forti di loro avviene una selezione. Non avendo nulla da perdere ma tutto da guadagnare, questi affamati e rapaci frutti della selezione, si rafforzano ulteriormente attraverso lo sviluppo di tecniche di attacco piuttosto che di difesa, e così un giorno colui che detiene il potere viene eliminato e il vagabondo forte e affamanto prende il suo posto.
E il ciclo si ripete. Il nuovo dominatore si rafforza e poi si indebolisce (…)
Pagina 207 - Il dualismo strano nell’essere umano #
Abbiamo definizioni per le qualità che sono buone e per quelle che non lo sono; non cose che mutano, ma cose che generalmente continuano a essere considerate buone e cattive attraverso i secoli e nel corso dell’evoluzione di una specie. Per quelle buone, pensiamo sempre alla saggezza, alla tolleranza, alla cortesia, alla generosità, all’umiltà; e la crudeltà, l’avidità, l’egoismo, la cupidigia e l’ingordigia sono universalmente considerate indesiderabili. E tuttavia in una società strutturata come la nostra, le buone qualità sono invariabilmette sintomo di fallimento, mentre quelle cattive sono alla base del successo.
Pagina 269 - Via complessa e comprensione ingenua #
Nell’esempio che segue è da notare il profondo significato della via complessa opposta alla comprensione ingenua, presumibilmente soddisfacente, ma in realtà inesatta. In un certo periodo in Norvegia un uccello di selvaggina, la pernice bianca nordica, era in così serio pericolo di estinzione che si è ritenuto opportuno stabilire misure protettive e mettere una taglia sul suo nemico principale, uno sparviero che notoriamente si nutre quasi esclusivamente di pernici. Si incominciò lo sterminio di sparvieri, ma a dispetto di questa misura così drastica la pernice si andava estinguendo e più velocemente che non in passato. I normali rimedi applicati con ingenuità avevano chiaramente fallito. Ma invece di scoraggiarsi e di lasciare passivamente che questo uccello percorresse la medesima strada già percorsa dall’alce e dal piccione passatore, le autorità estesero la portata delle loro indagini fino a quando non riuscirono a fornire una spiegazione all’anomalia.
Un’analisi ecologica degli aspetti di relazione ha svelato che una malattia parassitica, la coccidiosi, era epizootica tra le pernici. Nei suoi stadi incipienti questa malattia riduceva a tal punto la velocità di volo della pernice che gli individui affetti in maniera leggera divenivano facile preda degli sparvieri. Nutrendosi abbondantemente di uccelli leggermente ammalati, gli sparvieri impedivano che la malattia si sviluppasse fino a raggiungere l’apice e che perciò si spargesse più furiosamente e più velocemente al resto degli uccelli, per altro sani. Così i presunti nemici della pernice, controllando gli aspetti epizootici della malattia, sono risultati essere amici sotto false spoglie.
Pagina 349-351 - L’indiano #
Più volte ci hanno chiesto, perché fate questa cosa, perché raccogliete e conservate piccoli animali? alla nostra gente avremmo potuto raccontare una a caso tra le numerose ragioni prive di significato che per convenzione sono state accettate come cose sensate. Avremmo potuto dire: «Desideriamo colmare certe lacune rimaste aperte per quel che riguarda la fauna del Golfo.» Ciò avrebbe soddisfatto la nostra gente perché il sapere è una cosa sacra, che non si può né mettere in dubbio né analizzare. Ma l’indiano potrebbe dire: «A che cosa serve questo sapere? Dal momento che sembra essere un dovere, a che cosa serve?» Avremmo potuto raccontare alla nostra gente la solita storia sul progresso della scienza, e ancora una volta non avrebbe avuto dubbi in merito. Ma l’indiano potrebbe chiedere: «Ma sta proprio avanzando, e verso che cosa? o si sta solamente complicando? Salvate le vite dei bambini per farli vivere in un mondo che non li ama. È nostra abitudine», potrebbe continuare l’indiano, «costruire una casa prima di andarci ad abitare. Non vorremmo mai che un bambino si salvasse dalla polmonite solo per poi essere ferito per tutto il resto della vita.»
Le menzogne che raccontiamo circa i nostri doveri e i nostri intenti, le vuote parole della scienza e della filosofia, sono muri che crollano di fronte a un perplesso, piccolo «perché». Finalmente abbiamo saputo perché facevamo queste cose. Gli animali erano bellissimi. Questa era la vita dalla quale noi prendevamo a prestito vita ed emozioni. In altre parole lo facevamo perché era piacevole.
Pagina 354 - Lo squalo con le corna (Gyropleurodus degli eterodonti) #
Appeso sul fondo della rete dalla parte esterna vi era un grande squalo con le corna. Non si era impigliato, ma aveva afferrato l’esca con una presa da bulldog e non la lasciava andare. L’abbiamo tirato fuori dall’acqua e posto sul ponte e non accennava a lottare, ma non lasciava la presa. Questo è accaduto circa alle otto di sera. Desideravamo conservarlo e quindi non l’abbiamo ucciso pensando che sarebbe morto entro breve tempo. I suoi occhi erano striati, simili a quelli di una capra. Non accennava assolutamente a difendersi, ma giaceva tranquillo sul ponte, guardandoci con occhi minacciosi e carichi di odio. Il corno, vicino alla pinna dorsale, era bianco e pulito. Le aperture branchiali si aprivano e chiudevano a intervalli piuttosto lunghi, ma il pesce non si muoveva. È rimasto immobile tutta la notte, aprendo solamente a intervalli piuttosto lunghi le aperture branchiali. La mattina seguente era ancora vivo, ma il corpo si era ricoperto di macchie di sangue. A quel punto Sparky e Tiny erano rimasti inorriditi. Un pesce fuor d’acqua dovrebbe morire, e questo non lo faceva. I suoi occhi erano ben aperti, e per quel qualche ragione non si erano seccati, e sembrava ci guardassero con odio. E le sue aperture branchiali ancora si aprivano e chiudevano. La sua inerte tenacia stava avendo effetto su noi tutti. Era una minacciosa presenza sulla barca, un essere grigio e neghittoso carico di odio, e le macchie di sangue che lo ricoprivano non contribuivano certo a renderlo più piacevole. A mezzogiorno lo abbiamo messo nel serbatoio di formaldeide e solo allora ha lottato per un istante prima di morire.
Pagina 390-391 - Il banco di pesci #
Commettiamo un errore quando pensiamo a questi pesci come a individui singoli. Le loro funzioni nel banco sono controllate, e in modo ancora sconosciuto, come se il banco fosse un’unica entità. Non coglieremo questa complessità fino a quando non riusciremo a pensare al banco come a un animale di per sé stesso, che reagisce con tutte le sue cellule e stimoli cui i pesci singoli non risponderebbero affatto. E questo animale più grande, il banco, sembra avere una natura, impulsi e fini tutti suoi. È superiore e diverso dalla somma degli animali che lo compongono. Se riusciamo a vederlo in questo modo, non risulterà poi tanto incredibile il fatto che ogni pesce vada nella medesima direzione, che la distanza tra pesce e pesce sia esattamente la stessa per ogni individuo, e che pare vi sia un’unica intelligenza a governarlo. Trattandosi di un unico animale, perché non dovrebbe reagire in quanto tale? Forse questa è la più incredibile delle considerazioni, ma noi pensiamo che se si studiasse il banco come un animale a sé stante piuttosto che come una somma di pesci, si verrebbe a scoprire che determinati individui più deboli o più lenti possono avere la funzione di placare la fame di predatori che mettono a repentaglio la salute del banco e la sua integrità.
Pagina 401 - La pesca a strascico #
Quando siamo saliti a bordo la rete a strascico era in mare, ma quasi subito i tamburi su cui erano fissati i cavi hanno incominciato a girare recuperando il pesante strascico. La grande draga si è chiusa come un sacco mentre veniva issata, e alla fine ha depositato molte tonnellate di pesce sul ponte - tonnellate di gamberetti, ma anche tonnellate di pesce di varie specie: sgombri, trachinoti di vario tipo; squali, tra cui palombi comuni, e gli squali martello; aquile di mare e razze farfalla; piccoli tonni; pesci gatto; e puerco - a tonnellate. E c’erano esemplari di anemoni e gorgonie simili a erba, tipici dei fondali più alti. Il fondo del mare era stato senz’altro completamente raschiato. Nel preciso istante in cui la rete si è aperta e ha lasciato cadere questa massa di esseri viventi sul ponte, i giapponesi si sono messi al lavoro. Erano interessati solo ai gamberi e tutti gli altri pesci venivano gettati fuori bordo.
Il mare era ricoperto di pesce morto e vi era una moltitudine di gabbiani che venivano a mangiare. Quasi tutto il pesce era morente, e solo pochi individui riuscivano a riprendersi. Vi era uno spreco spaventoso di buone risorse di cibo, ed era strano che i giapponesi, solitamente così attenti, facessero una cosa del genere. I gamberetti venivano raccolti con la pala e buttati in ceste che venivano poi avviate al piano di taglio. E nel frattempo la rete a strascico veniva di nuovo calata in mare.
Pagina 403 - Brave persone #
La gente di questa barca ci piaceva moltissimo. Erano brave persone coinvolte in un ingranaggio distruttivo di dimensioni molto ampie, brave persone che facevano una cosa dannosa. Con la loro quantità di barche grandi, con la loro industriosità e la loro efficienza, ma soprattuto con la loro infinita energia, è chiaro che i giapponesi faranno scomparire i gamberi da tutta la regione. E non è vero che una specie assediata in questo modo si riproduca nuovamente. L’equilibrio così disturbato favorisce spesso l’ascesa di un’altra specie e distrugge per sempre l’antico rapporto di sopravvivenza.
Oltre ai gamberi, queste barche uccidono e sprecano molte altre centinaia di tonnellate di pesce ogni giorno: per lo più cibo assolutamente necessario. Forse il ministero della Marina non comprendeva che una delle migliori e più grandi riserve di cibo del Messico stava per essere distrutta. Se ciò non è ancora avvenuto, si dovrebbe stabilire dei limiti di pesca, e non si dovrebbe permettere un rastrellamento così inteso della regione. Tra le altre cose si dovrebbe intraprendere un accurato studio di questa zona, così da poterne conoscere la effettiva potenzialità e mantenere un giusto equilibrio tra le quantità pescate e le riserve. Solo così ci potrebbe essere una indefinita riserva di gamberi. Se ciò non verrà fatto, l’industria messicana dei gamberetti terminerà la propria attività in breve tempo.