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Filastrocche di un operatore sociale che cerca case nel mercato immobiliare

·4078 parole·20 minuti

La rivista Animazione Sociale ha pubblicato sul numero 372 alcune Orbite e mi ha chiesto di contestualizzarle in un articolo che parlasse del mio lavoro da operatore sociale. Eccolo di seguito.


L’immobile ha il suo decoro
solo se tutti stanno a casa loro

Come operatore della Cooperativa Sociale Synergica mi occupo di Insieme per la casa della Fondazione Don Mario Operti, un progetto presente da oltre vent’anni sul territorio torinese, che aiuta le famiglie italiane e straniere ad accedere al mercato immobiliare e a mantenere l’abitazione in locazione. Insieme per la casa offre strumenti, anche economici, a proprietari e inquilini, si pone l’obiettivo di agevolare l’inserimento delle persone nel tessuto sociale e media nelle situazioni più problematiche, provando a prevenire gli sfratti qualora la situazione lo consenta.

Grazie a questo lavoro negli ultimi due anni e mezzo ho incontrato tante storie che mi hanno permesso di entrare in un mondo, quello della ricerca casa, dai connotati grotteschi, se solo non si muovesse sulla pelle e sulle necessità delle persone più fragili.

Il grottesco mondo della ricerca casa #

Una parte di questo mondo è abitato dai racconti, molto spesso drammatici, delle persone che cercano; nell’altra metà risiedono invece le “esigenze della proprietà”, un calderone capiente dove confluiscono le richieste più particolari, inamovibili e intransigenti. In mezzo, a cercare gli incastri possibili, l’operatore sociale rischia di soccombere e affogare in un mare di frustrazione:

  • Come riuscire a soddisfare le necessità di entrambe le parti?
  • Come garantire l’accesso a un tetto alle persone che per redditi potrebbero permetterselo, ma che invece faticano a trovarlo?
  • Perché le persone e le famiglie che sulla carta possono permettersi una locazione o magari anche un mutuo, in realtà poi hanno bisogno di aiuto?

I colloqui con le famiglie, il relativo controllo dei documenti e dei redditi, le telefonate con le agenzie e i proprietari, le visite agli alloggi e l’accompagnamento fino al raggiungimento di un contratto (e anche oltre) compongono la quotidianità lavorativa, totalmente sbilanciata verso chi cerca e che il più delle volte non capisce come mai un lavoro a tempo indeterminato, magari anche ben pagato, non sia sufficiente per avere una casa. Quando poi queste dinamiche restano oscure anche a chi dovrebbe saperle e spiegarle, non resta che il razzismo come unica motivazione. Certo, molto spesso risulta sfacciato ed esplicito nelle risposte al telefono, nella comunicazione delle mirabolanti “esigenze delle proprietà” a gradazione cromatica camuffata da provenienza geografica: “Stranieri da dove? Grazie, ma qui solo europei”. In questo lavoro si arriva al punto di preferire una certa schiettezza, anche dura e cattiva, piuttosto che stare lì a tergiversare senza dire esattamente come stanno le cose; tant’è che ormai, per esperienza, la domanda diretta viene posta: “Senta, la famiglia è straniera, ci sono per caso dei problemi?”

Tuttavia, prima di arrivare al quesito fatidico, il percorso è tortuoso e, anzi, non è proprio detto che si arrivi a quel momento: innanzitutto bisogna trovare gli annunci e, almeno su questo, i portali online dedicati possono dare un supporto nella selezione.
Bisogna escludere le zone e gli alloggi troppo cari e poi - qui la pratica aiuta - capire quali sono pubblicati da agenzie vere, presunte o di consulenza. I siti web sono rilevanti anche perché filtrano le agenzie presunte, ovvero le truffe, ma l’attenzione va comunque tenuta alta. Una breve divagazione meritano invece le agenzie di consulenza. Per un occhio allenato è facile scovarle, soprattutto ora che anche loro pongono in massimo risalto il fatto che non sono agenzie convenzionali, ma fino a qualche tempo fa, tutto era un po’ più confuso. Il loro impegno, in cambio di una quota solitamente di 250 euro e una firma su un contratto di sei mesi (di consulenza, appunto) è di offrire al potenziale inquilino la possibilità di avere contatti diretti con i proprietari disponibili ad affittare. Nulla di male, verrebbe da sostenere, ma le esperienze di chi ha versato e firmato paiono essere molto negative: nessun numero di telefono ricevuto, affitti vecchi e quindi alloggi già occupati, numeri inesistenti… Insomma, l’idea pare buona, ma forse solo quella.

Quando si digita il numero dell’annuncio #

L’occhio allenato, dicevo, permette di escludere questo tipo di agenzie già a partire dalle fotografie degli annunci: poche immagini che quasi mai ritraggono l’interno dell’alloggio, solo gli esterni, la facciata e la via con la classica street view di Google Maps (nemmeno lo sforzo di andare sul posto e scattare qualche foto). A raccontarla così, l’odore di fregatura pare pungente, ma in caso di bisogno estremo tutte le eventualità possono sembrare valide. Soprattutto, prima di esprimere giudizi, bisogna vivere, o per lo meno provare a capire, le situazioni di chi si affida a questi servizi.

Se invece l’annuncio possiede le caratteristiche corrette e l’agenzia è vera, allora vale la pena digitare il numero e chiamare. Il momento è quasi solenne, richiede concentrazione e la risposta pronta, soprattutto bisogna essere prudenti a parlare. La prima parte può scivolare velocemente con qualche richiesta legata all’alloggio: se è ancora disponibile e, nel caso qualcosa nella foto abbia attirato l’attenzione, chiedere chiarimenti. In seconda battuta diventa necessario presentarsi, specificare per conto di chi viene effettuata la ricerca, raccontando le sue garanzie reddituali ed eventualmente fissare un appuntamento. In questo caso la totale onestà non premia: meglio, soprattutto se è il primo contatto in assoluto con un’agenzia, specificare meno, essere un po’ reticenti su alcuni aspetti ed evitare di pronunciare un qualunque riferimento all’ambito sociale, al mondo delle cooperative, all’aiuto delle persone.

A questo punto la reazione, se ancora l’attenzione persiste, potrebbe manifestarsi nella richiesta di maggiori spiegazioni sul motivo che spinge queste persone a non chiamare direttamente per prendere un appuntamento; qui la sensibilità dell’operatore impone una certa dose di attenzione per capire quanto può raccontare.

Mantenendo il ventaglio delle scelte comunque ampio, le opzioni possono essere:

  • orari lavorativi proibitivi;
  • poca confidenza con l’ambito o la lingua;
  • paura di sbagliare;
  • esigenza di moltiplicare le risorse impegnate nella ricerca vista una certa urgenza che, a sua volta, può essere dovuta alla scadenza naturale del contratto di affitto o alla necessità di trasferirsi in una casa più grande per allargamento della famiglia.

In ogni caso, la circostanza impone di “scoprirsi leggermente”, offrire qualche accenno in più sulla situazione di chi cerca casa e, di certo, i rischi di rifiuto possono aumentare. Se però tutto procede bene, si arriva a concordare una data e un orario.

Gli agenti immobiliari più confidenti sono una fonte importante di informazioni e dettagli perché offrono un punto di vista significativo che può plasmare il lavoro. Un consiglio utile, per esempio, nasce dalla considerazione che la domanda di casa è ultimamente così elevata che la permanenza (o l’efficacia) di un annuncio online è di circa un pomeriggio, giusto il tempo di accumulare una ventina di visite a distanza di quindici minuti l’una dall’altra. Di conseguenza allenare il tempismo è un requisito fondamentale, altrimenti il rischio è di perdere tempo o, peggio, farlo perdere a chi ha più impegni di voi, ovvero l’agente immobiliare stesso.

Quando arriva il momento di fissare l’appuntamento #

Dopo la promessa di chiamare nuovamente l’agenzia per confermare o meno la presenza alla visita, inizia la fase due, ovvero intercettare le persone che cercano, controllare se hanno abbastanza redditi e garanzie rispetto alle richieste, istruirle su dove si trova l’alloggio, capire se possono essere davvero interessate e sperare che siano disponibili nel giorno e all’ora stabiliti.

Purtroppo, la loro “povertà grigia”1, come spesso viene chiamata, non consente l’accesso a tante case, il trasferimento troppo lontano dalla loro zona di lavoro o la richiesta di continui permessi per visitare alloggi.
Anche qui, tutto può andare bene come no, può capitare che, dati i criteri stringenti, nessuna tra le persone o famiglie prese in carico dal progetto, risulti adatta. D’altronde le variabili sono tante: dove si trova la casa, i metri quadri, il numero di stanze (i trilocali sono introvabili), il canone, le spese, il riscaldamento, quante persone possono starci, quanto dev’essere il reddito totale (una regola empirica dice di moltiplicare l’affitto per tre come minimo in caso di una persona singola, per le famiglie anche di più) e soprattutto il tipo di contratto di lavoro, il settore dove si è assunti, la presenza o meno di garanti che, naturalmente, devono avere caratteristiche precise e dimostrare di essere in grado di mantenere sé stessi e l’eventuale affittuario moroso. Solo se tutte queste costanti sono soddisfatte, allora si può parlare della casa in sé, se piace o non piace, se si vuole vedere.

Occuparsi di questo mondo ricco di contraddizioni e pretese ha le sue soddisfazioni quando si riesce a trovare una sistemazione per qualcuno. Al contrario le pene arrivano quando, al telefono con l’agenzia o a colloquio con chi cerca casa, si presentano queste brutture:

  • i rifiuti razzisti, abilisti o discriminatori in generale;
  • la presa di consapevolezza che un contratto a tempo indeterminato da badante o colf o nella ristorazione valgono meno di quello da operaio;
  • la perdita del lavoro;
  • le intimazioni di sfratto quando ormai è difficile trovare un’altra soluzione;
  • i monolocali dove sta una famiglia intera di quattro o cinque persone;
  • la muffa in casa che costringe a cercarne un’altra perché provoca problemi di salute ai figli;
  • gli alloggi fatiscenti gestiti da agenzie e proprietari discutibili che scrivono contratti in deroga alla legge approfittandosi degli stranieri che non la conoscono e che hanno urgenza;
  • i rinnovi dei permessi di soggiorno e i ricongiungimenti famigliari mancati o in perenne attesa a causa di cavilli burocratici sull’idoneità alloggiativa, certificazioni degli impianti inesistenti e metri quadri della casa, affittata con estrema fatica, non sufficienti.

Quando l’amarezza è troppa #

Ogni tanto succede che tutto questo paralizzi, che ci sia così tanta amarezza da non sapere dove metterla o incanalarla e, se non si trova un modo per sfiatare, il rischio è di finire soverchiati e sentirsi sconfitti.

Allora la creatività aiuta e pensare di mettere per iscritto alcune di queste situazioni può essere utile a governare il malessere che si prova, per dare una forma alla disuguaglianza, per provare a mettersi nei panni delle persone o anche soltanto rinnovare la dignità delle loro storie. Ma come rendere giustizia a questo sentire mantenendo la distanza corretta?

A parere di chi scrive le filastrocche sono uno strumento adatto per questo tipo d’intento. Con le loro rime e il loro ritmo riescono a edulcorare la realtà quel tanto che basta a renderla per lo meno narrabile, senza nascondere nulla di quello che succede, ma nemmeno trasformarlo in qualcosa che non è. In un certo senso, usando una metafora cinematografica, stanno alla prosa o all’articolo giornalistico come un film d’animazione sta alla fiction o a un documentario; con in aggiunta la possibilità di condensare in un unico momento di lettura le vicissitudini complicate che avvengono (o sono avvenute) a queste vite. In generale sono un buon filtro, o magari semplicemente uno stratagemma, per evitare che il cinismo o, peggio ancora, il pietismo prendano il sopravvento e non permettano di comprendere l’enorme quantità di materiale umano che stiamo colpevolmente trascurando.

Un’ultima riflessione spetta al titolo: si chiamano Orbite perché, pur avendo traiettorie tanto diverse, stanno tutte nella stessa galassia a ruotare intorno a un unico centro di gravità, quello della casa. Soprattutto sono percorse da corpi così differenti nella loro composizione solida, liquida e gassosa da creare un sistema immobiliare unico nell’universo dove siamo collocati. Grazie alle Orbite l’esagerato sconforto che nasce nel constatare le poche soluzioni rispetto ai tanti problemi, trova posto nello spazio, lassù, il più lontano possibile dalle persone che la cooperativa prova ad aiutare. Gli episodi capitati a più nuclei, famiglie o singoli, possono essere condensati in un unico racconto, ma tutto quanto parte da situazioni reali: trovare casa, soprattutto per chi è straniero, anche se nel complesso ha un buon reddito, sembra essere diventato più complicato che mai.

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[1]: La “povertà grigia” definisce quelle situazioni dove i redditi accumulati da una persona o da una famiglia non consentono di risparmiare perché sono a mala pena sufficienti per provvedere al proprio mantenimento. La fascia di popolazione che rientra in questa definizione è la prima che rischia di trovarsi in difficoltà nel caso di spese personali impreviste o di innalzamento dei costi della vita a causa di eventi globali, per esempio pandemie e guerre.

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MOHAMMED - o delle difficoltà per gli stranieri ad avere una casa #

All’incirca dopo pranzo
quando resta mezzo dito di avanzo
nella tazzina da caffè,
mi chiama sempre Mohammed:

con voce flebile e speranzosa
vuole sapere se qualcosa
con due camere, cucina e tinello
ho trovato tra quello
che gli annunci delle case
propongono in questa fase.

Gli rispondo che ora di trilocali
non ce ne sono a quintali,
inoltre, se il suo sentimento
è di chiedere il ricongiungimento
familiare, una legge stabilisce
- bravo chi la capisce -
che la grandezza della casa buona
sia almeno di quattordici metri quadri per persona,
con i soffitti, non solo sulla pianta,
alti almeno due metri e settanta.

Per di più l’alloggio in questione
deve avere ogni tipo di certificazione,
seguire le norme igienico-sanitarie,
per esempio su quante finestre siano necessarie.
Quindi, prima di ogni trattativa,
è meglio informarsi sull’idoneità abitativa.

Ora, intendiamoci su un punto:
tutto quanto finora assunto,
di per sé, non è sbagliato affatto,
un alloggio dev’essere adatto
ad accogliere le persone.
Semmai un’altra è la questione:
perché questi criteri
sembrano valere solo con gli stranieri?

Se una famiglia italiana
ha quell’idea balzana
di mettere al mondo prole,
mica deve presentare la stessa mole
di scartoffie, documenti
permessi e patenti.
Può con una certa serenità
decidere di stare dove sta.

D’altronde Mohammed un figlio ce l’ha già,
ormai pure di una certa età,
mi ha detto che quando è nato
lui era già emigrato,
quindi non sa
se lo riconoscerà
quando, con la casa a posto,
andrà a prenderlo, magari in agosto,
nei giorni di chiusura
dell’azienda per cui lavora.

E anche la moglie, certo,
sarà presa dallo sconcerto
vedendolo arrivare e chiedendo
“cos’hai fatto in questo tempo tremendo?”.

Qualche stolto sostiene
che tutte le pene
del mondo non possono essere prese
sulle spalle di un solo paese.
Invece qualcun altro pensa
che questa sia una scusa immensa
per difendere i propri privilegi
ed esaltare i propri finti pregi.

Prima di salutare, Mohammed ragiona:
“Qualcosa evidentemente non funziona,
se uno è costretto a spostarsi
perché non ha di che arrangiarsi.
Potessi tornare da dove son venuto
lo farei in un minuto.

Ma sono perseguitato dalla paura
di incontrare quelli che sull’altura
hanno ammazzato mio padre
e, come iene ladre,
han rubato i campi
e i suoi occhi ampi”.

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ELÈNA – o dell’irrilevanza di un tempo indeterminato da badante #

Ieri mi ha cercato Elèna
che l’italiano parla appena,
anche lei vorrebbe un trilocale
dove stare con una connazionale.

Sono entrambe badanti,
vivono tra anziani e calmanti
e per la maggior parte del tempo
stanno con loro. Pure nottetempo
vegliano senza riposo,
tutti i giorni così, tranne quello religioso.

“Jesús, por mí y mi familia te pido ayuda,
perdóname de la manera más absoluta,
una casa necesito
para guardar las cosas de mi lejano marido,
para descansar en tu día mi cuerpo y mi cabeza
y también para la pobre Teresa”2.

Ogni lunedì, via messaggio,
una madonna colorata in fotomontaggio
mi ringrazia e benedice
perché trovi una parte locatrice
che consideri indeterminato il contratto di un morituro badato.

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[2]: “Gesù, per me e per la mia famiglia ti chiedo aiuto, perdonami nel modo più assoluto, Ho bisogno di una casa per conservare le cose del mio lontano marito, per far riposare nel tuo giorno il mio corpo e la mia testa e anche per la povera Teresa”.

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LA FAMIGLIA DI GIÚ – o delle disuguaglianze territoriali e della discriminazione abilista #

Dice sempre: “Perché gli italiani,
quelli onesti e cristiani,
non aiutate mai?
Mica sono tutti usurai!
Forse perché son meglio gli immigrati,
clandestini con i loro reati?”.

Guardi, cerchiamo di capirci per favore:
quanto appena detto non è il cuore
della faccenda. Spesso sì, è vero,
c’è accanimento contro lo straniero,
ma l’impressione generale è che un discorso
più ampio e preciso sia in corso:
è in atto, se dirlo mi è concesso,
una guerra a tutti i disgraziati nel complesso.
Che se fosse una battaglia
alla povertà, alla miseria, alla disgrazia,
affinché vengano estirpate come la gramigna,
sarei in prima fila con tutta la mia tigna;
invece sono le persone che sono incolpate
come se quelle tre se le fossero cercate.

Dopo questa premessa proseguo,
la vostra attenzione inseguo
e racconto una triste vicenda
che mi è capitata in agenda:
anche se suona un’assurdità,
in questo episodio di vulnerabilità,
lo scandalo e la vergogna
iniziano con una cicogna.

Da dirsi è molto triste
perché in Italia sussiste
un problema di uguaglianza
tra le cure che si ricevono in Brianza,
in Ciociaria, sulle Murge,
alle Madonie o sul Carso. Urge
risolvere queste disparità presenti
perché ora cittadini degenti,
da identici bisogni afflitti,
non godono degli stessi diritti.

Una giovane coppia in attesa
aveva la prospettiva che l’indifesa
potesse nascere prematura,
con qualche problema oltremisura.
Così, poveretti, in fretta e furia,
dalla Magna Grecia all’Etruria,
con tutti gli dei moderni e antichi
chiamati in modi leciti o impudichi,
han risalito la penisola intera
per trovare una soluzione ospedaliera.

La gioia del primo vagito,
strozzata perché attutito,
ha convinto i nuovi genitori
a chiamare subito i traslocatori
e trasferirsi in men che non si dica
nella prima casa formica
a due passi dalla loro bambina
allettata e avvolta nella copertina.

Dopo qualche tempo e le necessarie cure
le circostanze erano mature
perché la famiglia si ricongiungesse
sotto le medesime tegole a forma di esse;
e qui purtroppo, come se non bastasse
tutta la fatica esentasse
già profusa, hanno inizio altre grane,
antipatiche come solo le briciole di pane,
a quintali la notte dentro al letto,
lasciate da qualcuno per dispetto.

Sì, perché, quali esigenze stanno in cima?
Quelle della proprietà o prima
quelle di una bambina bloccata e disabile
costretta a nutrirsi grazie a un sondino allungabile
che solamente un dottore sa usare
insieme al suo compare?
Posso immaginare le vostre risposte,
ma quelle arrivate sono totalmente opposte.

Comunque, per quella che è la situazione
è necessaria un’attenta selezione:
innanzitutto, dalla ricerca si escludono i condomìni
con ingresso e androne a scalini,
l’ascensore inesistente o troppo minuto
perché non è di alcun aiuto;
poi lasciamo stare quelle case senza doccia,
solo con la vasca scivolosa e antigoccia.

Quindi, in definitiva, vogliamo un alloggio
con doppi servizi e che faccia sfoggio
di due stanze, un soggiorno
e una bella cucina con il forno;
possibilmente a un piano basso
senza che costi un salasso.

Queste caratteristiche desiderate
non sono capricci d’estate,
ma esigenze vere dettate
da necessità complicate.
sembra però impossibile
che esista una casa accessibile,
è evidente quando si spiega
la situazione e l’interesse impiega
venti secondi netti a scemare.

La parte peggiore dell’affare,
come sempre è l’impatto
della mancanza di pudore e tatto:
“Disabili, stranieri e animali
non sono ammessi in tutti i locali”
è stata per esempio una gentile risposta.

La ricerca prosegue quindi senza sosta,
anche se questa volta il tempo non aiuta
a rendere meno amara l’umiliazione ricevuta.

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UN SIGNORE PROPRIETARIO – o di un noto palazzinaro di Torino #

Un signore proprietario,
ormai ricurvo perché quasi nonagenario,
possiede palazzine, alloggi,
autorimesse e, proprio oggi,
ha acquistato un podere
dove appoggiare il suo flaccido sedere.

Non è cattivo, dimostra grande generosità
quando intesta all’immortale mamma tutte le sue società.
Per il resto, è solo molto attento,
scrupoloso negli affari e nel testamento.

Vorrebbe lasciare a tutti i figli
la legittima, se solo non avessero gli artigli,
e tenersi tutto per sé, ché non si sa bene
dopo la morte cosa viene.

Per questo ancora si ostina
ad affittare a lusso una cantina,
a considerare un’offesa inflitta
il rifiuto di 5000 euro per una soffitta.
Lui imperterrito non paga le spettanti spese
condominiali, così, mese dopo mese,
quei poveri affittuari
si ritrovano indebitati anche se regolari,
senza pulizie delle scale,
con l’ascensore che non risale
e l’immondizia accumulata in cortile
che una discarica sarebbe più signorile.

“Ma come fa”, si chiede la gente,
“a continuare a fare il fetente
senza che le autorità cittadine
ai suoi affari mettano fine?”.
Ebbene, state attenti,
i furfanti sono i più gentili con i clienti.

Ogni contratto dai suoi avvocati scritto
segue quanto dalla legge prescritto,
non c’è alcuna furberia
ed è proprio qui la magia,
perché se tutto sembra a posto
uno non pensa che poi sia l’opposto:
che, per esempio, piova disgraziatamente dal soffitto
sul lampadario del salotto,
rischiando di causare un incendio indotto
dall’elettricista sbadato
che la messa a terra dell’impianto ha dimenticato.

Questi contratti che sottoscrive
non contengono frasi abusive,
soprattutto se chi legge
non conosce bene la legge,
ed è distratto perché
cerca urgentemente per sé,
i genitori e i suoi figli
un alloggio con dei giacigli.

Ormai avete capito che questo signore palazzinaro
ha amore solo per il denaro,
così tanto che, meschino,
non si accorge di essere un fagiolino,
capace di beccarsi le fregature
come quelle che pure
lui rifila ai malcapitati:
una volta comprò “da signori fidati”
dieci terreni e una villona liberty intera
che non esistevano nella vita vera.
Cadde così in una truffa ben congegnata
che lui aveva profumatamente pagata.

Ma questo non vi consoli,
perché, sebbene rimase con in mano due fagioli,
addirittura a un certo punto della storia
lo ritroviamo coinvolto in un’azione meritoria,
chiamato a ristrutturare un edificio
capace di portare beneficio
alle persone che per un motivo o per l’altro
ne avevano bisogno. Ma quello, scaltro,
con gli amici suoi che abbiamo imparato a riconoscere
dalle budella che fan contorcere,
nella sua impresa ha solo un intento:
continuare felice e contento
a comprare tutta quanta la città
in modo che diventi una sua unica proprietà.

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LO SFRATTO – o dell’empatia che manca #

Mettiamo in chiaro un fatto:
quando avviene uno sfratto,
la procedura richiede mesi,
circa dieci di media è la tesi.

Sembra che questo periodo trascorra
per la proprietà come una zavorra,
seguendo tutte le legali prassi,
con avvocati e senza incassi;
diversamente gli inquilini,
soprattutto se hanno bambini,
vivono quei mesi come fossero secondi
che li separano dai bassifondi.

Questa distanza temporale
è una specie di giuridica voragine sociale
che, fatidica, inghiotte e avvolge,
le persone che coinvolge.
Inoltre, come fa un tempo uguale ad avere
due velocità diverse entrambe vere?

La questione così posta
trova una risposta
nella scienza della relatività
che qui, qualcuno ci perdonerà,
proveremo a spiegare, anche se stavolta
non si tratta di capire come la volta
del cielo funziona, ma di trovare intesa
su quale sia davvero la parte lesa.

Credo che Einstein non si dispiaccia
se prendiamo la sua linguaccia
come spunto per il nostro contributo
su un tema così dibattuto.

Quando una persona paga l’affitto,
il proprietario ne ha un profitto,
ma se non è proprio un palazzinaro,
allora quel guadagno lo aiuta poco con il rincaro.

Per questo uno sfratto risulta salato
per chi possiede un solo alloggio affittato,
perché, oltre al costo della pratica,
c’è la perdita automatica
di circa un anno di entrate,
diciamo così, mal contate.

Questa situazione infelice
crea problemi alla parte locatrice,
che piuttosto di rischiare la perdita
rinuncia addirittura alla rendita.
Ma lasciando vuoto un appartamento
abbandona in pieno smarrimento
chi ha bisogno a ogni costo
di un semplice e sicuro posto.

Di questo paradosso Einstein che direbbe?
La sua ipotesi quale sarebbe?

Se diamo alla massa la possibilità
di andare al quadrato della velocità,
l’energia così ottenuta
basterà in maniera assoluta.
Così funziona il firmamento
e anche qui non serve un cambiamento:
se diamo fiducia alla gente,
un po’ di aiuto dove è carente
e una casa dove stare bene,
avremo tutti quanti le tasche piene.

Certo, scomodare così tanta scienza
sembra esagerato per questo tipo di vertenza,
basterebbe avere un po’ di empatia,
pazienza e fantasia
per chiedersi, a parti invertite,
cosa scegliere tra l’affitto e la salute,
tra il cibo per i figli e il riscaldamento,
tra le spese condominiali e il proprio sostentamento.

Ma quello che serve forse,
oltre alle proprie risorse,
è avere una fonte autorevole
che spieghi in modo agevole
come qualcosa che vale nell’universo
possa pure qui essere così terso.


In copertina foto di Torino dal satellite.