Un anno di Interstizi
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Un anno fa, dopo diverso tempo di insofferenza nei confronti delle grandi piattaforme internet del Big Web (principalmente Facebook, Google e Amazon, con Apple e Microsoft non ho mai avuto molto da spartire), ho comprato il mio dominio interstizi.xyz con hosting web e mail a meno di 20 euro per due anni. Credo sia arrivato ora il momento di spiegare quella scelta, vedere dove mi ha portato e chiudere con un bilancio.
Interstizi.xyz e la ricerca dello spazio #
Prima dell’acquisto di Interstizi avevo già esplorato la possibilità di usare una mail gratuita che mi assicurasse maggiore privacy e più attenzione alla cura dei miei dati personali, così avevo aperto una casella grazie ad A/I autistici.org/inventati.org: un servizio mail, blog, server che funziona molto bene, con una storia meravigliosa, degli obiettivi molto chiari e un manifesto antifascista, antirazzista e antisessista eccellente.
Purtroppo, per ragioni tecniche non era tanto adatto a quello che volevo, così ho deciso di cercare altro, anche a costo di spendere qualche soldo. In questa ricerca fondamentale è stato il sito Le Alternative, vero e proprio portale dedicato al’open source, al design decentralizzato e alla tutela della privacy che presenta e spiega in modo più divulgativo tutta quella fetta di mondo web spesso sconosciuta al grande pubblico. Grazie alle notizie e alle loro schede tecniche ho conosciuto Infomaniak, un fornitore di servizi web svizzero, molto attento alla privacy degli utenti, molto soddisfacente e con un impegno ambientale notevole che lo rende più sostenibile rispetto ad altri: non usano sistemi di raffreddamento artificiali, ma prendono l’aria fredda montana per tenere i loro server a temperatura adeguata. Se vi aiuta - a me sì - potete immaginarli come dei patelavache1 che, anziché tenere il formaggio da stagionare, nel crutin2 mettono dei computer e degli hard disk affinché non raggiungano temperature troppo elevate. Forse ci tengono anche il formaggio, non lo so.
Infomaniak, essendo collocato in Svizzera, segue il Regolamento Europeo sulla Protezione dei Dati (GDPR) per quanto riguarda la privacy e questo è un bene perché non c’è differenza legislativa tra dove sta il proprietario dei dati e dove essi sono conservati e gestiti. Oltre a un dominio web e un indirizzo mail targati interstizi.xyz, Infomaniak offre anche un’altra casella di posta ik.me e un insieme di ulteriori strumenti: calendario, contatti, cloud, modifica documenti, invio massivo di contenuti digitali (SwissTransfer è gratuito e consente di inviare 50gb di foto, video e pornacci). Esiste, ma non l’ho mai provato, anche uno strumento per le videochiamate e le riunioni online.
Questa nuova suite ha consentito ai miei dati, mail e documenti finora conservati su server Google grazie ai servizi Gmail e Drive, di essere trasferiti e custoditi altrove, in un luogo digitale più sicuro e attento alla privacy, meno soggetto a furti e gestito da un ente per niente propenso a usarli a fini commerciali.
GitLab e lo sviluppo di niente #
Una volta ottenuto questo spazio, ho potuto creare il sito internet con GitLab Pages che permette di pubblicare pagine statiche. GitLab, per quanto ho inteso io, è uno strumento di programmazione che permette agli sviluppatori di pubblicare e aggregare i file di codice, testarli e integrarli con altri pezzi altrui: in questo modo prendono forma i progetti che portano alle applicazioni, alle piattaforme che mediamente usiamo su telefoni, pc, ma anche in auto, a casa, verso l’infinito e oltre. La parte Pages serve agli smanettoni ingegneri e informatici per avere una presentazione online dei lavori e del loro profilo, ma per me che sono uno sviluppatore di niente, è servita semplicemente per creare una pagina personale dove mettere il cv e alcuni scritti che avevo piuttosto sparsi. La preferenza di un sito statico rispetto a uno dinamico tipo WordPress segue numerosi ragionamenti: WordPress e altri sono più strutturati per i blog con una certa periodicità per me difficile e troppo impegnativa da mantenere, ho preferito quindi qualcosa di statico e meno sofisticato che non richiede un aggiornamento continuo. E alla fine, anche se non conoscevo come funzionassero i progetti su GitLab, per convincermi definitamente, ho usato questa metafora: come non sono un ciclista professionista che usa lo stesso la bicicletta per muoversi, così non sono un programmatore, ma uso GitLab per presentarmi online.
In seguito, per completezza e avere un rimando delle visite al sito, ho aggiunto un contatore molto discreto, GoatCounter, open source e gratuito (con una piccola offerta). Certo, non mi dice quante volte un visitatore è andato in bagno dopo due settimane che ha visto il sito, ma mi accontento.
In quello stesso periodo avevo iniziato la migrazione delle mail verso Infomaniak, mantenendo l’account Gmail ancora attivo e con l’inoltro automatico. Questa operazione che ormai va avanti da più di un anno, mi è servita per dismettere la casella Gmail e per cancellare manualmente le tante newsletter a cui ero iscritto, scegliendo quelle più interessanti da ribadire sulla nuova casella di posta.
Arrivati a questo punto, spero che il racconto sia tutto chiaro perché mancano ancora diversi pezzi.
I social e la “webdiversità” #
Dopo aver dato una forma a Interstizi, pensato a una metafora narrativa che potesse non annoiarmi e allo stesso tempo darmi qualche spunto per raccontare me stesso, ho riversato lì i miei contenuti chiudendo la maggior parte dei miei profili social - che in verità usavo principalmente come lurker, ovvero osservatore non partecipante: Twitter, Medium e LinkedIn. Una piccola parentesi merita Instagram: fin da subito ha inteso il concetto di “filtro” nel modo peggiore, come se fosse un filtro magico e, se Harry Potter insegna qualcosa, è proprio che da rapporti così “filtrati” può nascere Voldemort. Il filtro, nel senso che mi è più caro, è qualcosa che serve a togliere il superfluo per arrivare al nocciolo, mentre su Instagram il filtro serve ad aggiungere superfluo per camuffare il nocciolo che evidentemente non reputiamo essere così interessante.
Facebook invece merita un discorso a parte: inizialmente non ho chiuso il profilo soprattutto per i contatti personali e gli eventi. Di molte persone “amiche” su Facebook non ho un altro contatto diretto - e va bene così; di molte altre sì, ma è come non averlo perché sono conoscenze legate ad ambiti ed eventi molto specifici o passati, infine di altre ho il contatto su Facebook, ma non mi serve perché sono quelle più vicine che sento con più frequenza su altri canali. “La forza dei legami deboli” 3, ovvero quelli più lontani di cui ho solo il contatto Facebook, è uno dei punti di forza di questo social network e uno dei motivi principali che ancora mi lega a esso. L’altra ragione, gli eventi, credo sia stata ormai sorpassata “dagli eventi” appunto: la pandemia ha azzerato ogni socialità per tanto, forse troppo, tempo; inoltre, è dura ammetterlo, sono invecchiato e la vita mondana “a caso” mi interessa sempre meno. Forse la pandemia, che come tutte le catastrofi ha un germe da acceleratore di processi, ha accelerato pure il mio invecchiamento.
Quindi è vero che sono legato a Facebook in modo sempre minore e cristallizzato, ma comunque non riesco ancora a eliminare il profilo, anche perché mi sono reso conto che l’ho interiorizzato molto di più rispetto a quanto credessi. Dopo anni d’uso e anche abuso, lo scorrere delle notizie con il pollice, la ricerca del nuovo e delle notifiche, per quanto ridotte all’osso, sono diventati aspetti del modo di stare su internet in generale purtroppo e il tempo noioso che non passo su Facebook, ahimè, lo trascorro nello stesso modo altrove, cercando qualcosa di interessante da leggere, guardare, dire, fare e baciare. Quindi sì, ogni tanto guardo la timeline, ma non pubblico post da tanto perché quello che desidero scrivere lo pubblico su Interstizi, con grande piacere e con una certa artigianalità legata al lavoro di scrittura tra testo e codice, tra contenuto e forma. Sembra una gran cavolata da dirsi, ma pensare allo stile della scrittura e trovarsi a cercare il codice html o css per rendere quello che si vuole dire come si ritiene che vada scritto, ha un peso non indifferente. Questo pensiero mi costringe a una domanda:
vale la pena scrivere quello che vuoi scrivere tenendo presente che è faticoso pubblicarlo e che il tuo spazio sul server non è infinito?
È un esercizio di scrematura, economia ed ecologia che Facebook e tutti gli altri social non permettono, anzi esigono in un’ottica estrattivista che ci rende schiavi, spreconi di parole o immagini e attenzioni. C’è chi riesce a sostenere il peso di tutto quello che dice, legge e guarda, certo, ma io no.
In questa chiave ecologica, Interstizi diventa allora un esempio di biodiversità o di “webdiversità” quasi da tutelare: è come costruire un orto, mantenere pulito un bosco, uno stagno o evitare di organizzare un mega evento-concerto sulle spiagge. Certo, esagero, ma il principio credo davvero sia lo stesso. Al di là della parte etica del rendere pubblici i propri pensieri, foto, fatti e dati, personalmente mi manca la quota sociale di interazione e condivisione online con gli altri. Magari è per questo che apprezzo tanto gli svizzeri delle montagne che mettono i server e il formaggio a stagionare insieme.
Il Fediverso #
Chiaramente ci sono delle differenze rispetto alla tutela ambientale, la principale è che in questo caso stiamo ragionando su un progetto di comunicazione: se non voglio autosabotarmi, azione per cui sono bravissimo in generale nella vita, devo andare alla ricerca di un pubblico, questo è un fatto praticamente ontologico. Altrimenti l’alternativa è l’equivalente della masturbazione, altra azione per cui meriterei un premio, che andrebbe benissimo se non constatassi da più parti e commenti che quello che scrivo meriterebbe di più. Quest’altra ricerca mi ha avvicinato a un altro mondo, il Fediverso, un’ambiente di social network federati, tutti simili a quelli già esistenti, ma decentralizzati, attenti alla privacy, senza pubblicità né algoritmi poco trasparenti. La parte interessante qui è la federazione, cioè la distribuzione su più nodi e server dei vari social e delle varie versioni tematiche (istanze) dei social. Da circa un mese ho un profilo Mastodon nell’istanza mastodon.uno; per intenderci è come Twitter, e come su Twitter per la maggior parte dei post che leggo, ronza in testa sempre la domanda: ma che mi interessa di questo?
Quindi, in questo anno, come è cambiata la mia vita? Non saprei dirlo e forse la domanda è esagerata: di sicuro leggo più newsletter e seguo su Telegram molti canali che prima non avevo mai intercettato. Ho ancora la mail Gmail e il profilo Facebook dormienti che potrei chiudere domani, soprattutto dopo le elezioni del 25 settembre. L’account WhatsApp resta purtroppo ancora indispensabile, però passo le giornate senza interazioni personali con i sistemi Google: da giugno ho un telefono Android, pagato intorno ai 360 euro, senza Google Play Service, non uso più quel motore di ricerca né YouTube né Maps, né altri servizi collegati. Vivo cercando lo stesso informazioni e strade che non conosco, ascoltando musica senza nemmeno un account Spotify, senza pubblicità né traccianti online grazie al browser Brave. Soprattutto ho imparato a valutare la qualità dei diversi servizi offerti e riesco a scegliere di donare soldi veri a chi ritengo se li meriti in cambio di qualche pezzo di formaggio.
Aggiornamenti #
28 settembre 2022: ho condiviso questo articolo con Le Alternative che lo ha rilanciato su Mastodon dove un utente mi ha segnalato che l’indirizzo IP di Interstizi.xyz poveniva da server Google. Ho capito solo in quel momento che questo errore “stupido”, git vuol dire proprio questo, era dovuto all’utilizzo di GitLab Pages; così ho trasferito tutto su Codeberg.org che ha i propri server in Germania. Di predicare bene e razzolare male non mi andava.
Dicembre 2023: da mesi ho chiuso il profilo Facebook finalmente. Ho poi effettuato una migrazione di account Mastodon e sono passato all’istanza Livello Segreto, ma, in tutta onestà, non ho trovato molti cambiamenti. La novità più interessante è stata riscoprire gli RSS, un’antica tecnologia degli albori di Internet che sembra ritrovare splendore in quest’ultimo periodo. Questo articolo su Giardino Punk spiega di che cosa si tratta e a questo link potete abbonarvi al Feed di Interstizi usando un lettore come per esempio CommaFeed, tanto se tutto va bene vi arriva un articolo all’anno.
- [1]: “Patelavache” si pronuncia così come si scrive ed è una parola piemontese che nasce dall’unione di due termini: patela, che significa colpo, percossa e vache cioè vacche, mucche. Indica quindi la persona che colpisce, picchia, le mucche, in pratica un margaro non troppo gentile. Anche se comunemente ha una connotazione dispregiativa con significato di “rozzo, violento”, personalmente lo uso in maniera neutra, anzi quasi amichevole. ⇑
- [2]: Sempre dal piemontese il “crutin” è una piccola crota, cantina: nelle baite in montagna solitamente sta al piano terreno di fianco alla stalla o sotto, ricavato e scavato nella roccia come una grotta. ⇑
- [3]: Questo è il titolo del secondo capitolo di Nexus (2003), Mark Buchanan, Oscar Mondadori, 2011. ⇑