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Lo studentato

·577 parole·3 minuti

Da parecchio tempo si aggira in città
qualcosa più concreto di un’idea,
diciamo pure una progettualità,
che “progetto”, tapino, in assemblea
suona provinciale, su. Questa entità
par’esser diventata panacea
d’ogni pena cittadina: studenti,
vi creiamo posti letto, contenti?

Dall’ufficio mi sono collegato
un giorno, a un evento di formazione
su città e casa. L’assessorato,
con umiltà e somma precisione,
ha incominciato il discorso accorato
con queste premesse alla discussione:
“Uno: da vent’anni Torino invecchia,
perde giovani abitanti e sonnecchia;

due: cambiano le generazioni,
crescono figli e figlie di stranieri;
tre: gli atenei cittadini son buoni,
anzi ottimi, ma le aziende e i mestieri
si trovano altrove, salvo eccezioni.
Studenti e studentesse sono alfieri
del futuro: bisogna trattenerli
e arrestare la fuga di cervelli”.

L’assessore urbanista ha parlato
ampiamente e il suo ragionamento
è stato ripreso ed esaminato
dagli altri oratori senza un lamento.
Ma ormai il mio interesse era scemato,
pensavo con un po’ di turbamento
ai nuovi studentati per la città
già finiti o di prossima realtà.

Da quando le lezioni son tornate
nuovamente in presenza, studentesse
e studenti da tutte le vallate
e da località poco connesse,
hanno riempito le case sfittate,
anche quelle lontane e compromesse.
Adesso, in effetti, ben poco posto
resta e, per di più, con un alto costo.

La situazione ormai è abbastanza
intasata, per rendersene conto
basta partecipare a quella danza
senza ritmo che, dall’alba al tramonto,
si consuma ricercando una stanza
tra annunci online, un commento e un pronto.
“Scrivi in pvt”, “Già affittata, spiace”,
“Ho quattro garanti!”, poi tutto tace.

Quando dicevo delle case vuote
riabitate dopo la pandemia,
ho scordato di chiarire le quote
di alloggi sfitti restanti, qual sia
la causa: circa 50 mila è la dote
stimata, di fatto una carestia.
Ma piuttosto che rischiare lo sfratto
i proprietari le lasciano al gatto.

Che poi, povere bestie, pure loro
dovranno pur stare da qualche parte
dopo che, per pulizia e decoro,
il municipio, con politica arte,
ha svenduto a poco prezzo un pianoro
dove randagi, giocator di carte
e cricket passavano le giornate
come fossero belle scampagnate.

A prendersi praticamente tutto
sono arrivati gli stranieri veri.
Non quelli poveri che fanno brutto,
con tanti figli e pochissimi averi,
ma i fondi senza fondo che all’asciutto
lasciano, dopo aver dragato fieri
ogni granello di pubblico soldo
fin all’ultimo spiccio manigoldo.

Palazzi riattati e isolati interi
sventrati in nome della new frontiera
del business: studentati-quartieri,
studentati ovunque, mattina e sera,
prima e dopo i pasti, nuovi cantieri
privati e la solita tiritera.
Così, in un lampo di curiosità,
ho cercato una di queste novità.

Sul web ho finto una prenotazione
d’una camera: circa metri quadri
quindici e cucina in condivisione;
ebbene, che tutti i padri e le madri
si preparino, poiché la pigione
è di seicentoquaranta euro (ladri!)
al mese per dodici mensilità
con ricchi premi e bonus a volontà!

Non scherzo: se qualcuno desidera
un balcone o un piano alto o le stoviglie,
si aggiunge un’offerta quasi libera
in cambio d’un dorato apribottiglie
in completo a una forchetta effimera.
Che cosa aspettate, care famiglie,
a mandare le vostre figlie e figli
in questo posto pieno di barbagli?

Invece io, caro assessore, aspetto
che lei dichiari nei pubblici eventi
che i nuovi e decantati posti letto
sono tutti privati per dei clienti
– non chiamiamoli studenti architetto –
che arricchiscono le aziende potenti
per godere di un pubblico servizio
che sarebbe un diritto e non un vizio.