L'arte di scomparire o del scegliere quando
Il titolo di questo post è lo stesso del saggio scritto da Pierre Zaoui ed edito da Il Saggiatore, semplicemente perché vorrei esattamente copiare parola per parola tutto quello che c’è scritto. Non solo perché la stesura dei concetti usa una prosa inappuntabile, ma anche perché è un libro che ogni politico incollato alla poltrona, ogni genitore troppo invadente nella vita dei figli, ogni essere pensante al comando di una qualunque istituzione (azienda, associazione, ente pubblico, teatro, museo, studio professionale…) dovrebbe leggere.
Il motivo per cui ne consiglio così caldamente la lettura è legato al fatto che la discrezione, come dimostrato nel testo, va intesa come un atto politico, una salvaguardia di sé stessi in relazione agli altri, ovvero come un’azione egoista in apparenza, ma profondamente altruista nella sostanza, come tacere durante un dialogo per offrire all’altro la possibilità di parlare. Non essendo una questione solamente generazionale, il discorso riguarda tutti: il senso dev’essere quello di creare una discontinuità nel nostro vivere, trovare i momenti per capire che l’altro, in un determinato tempo e contesto, ha le carte più in regola di noi. Un accettare la sconfitta serenamente, potrebbe dire José Mourinho.
Nel capitolo intitolato La discrezione, un’invenzione monoteista (schizzo di una genealogia) viene presentata una teoria della Cabala ebraica, detta dello tzimtzum, ovvero della contrazione dell’en sof (l’Infinito) al momento della creazione del mondo. In breve si dice che Dio, in quanto infinito, non può aver generato il mondo all’infuori di sé perché altrimenti non sarebbe veramente infinito. E neppure è possibile che abbia generato qualcosa a partire da qualcos’altro (il caos, per esempio) perché da dove verrebbe questa materia primordiale se Dio è infinito e quindi in ogni luogo? In definitiva l’unica eventualità accettabile è che Dio abbia contratto sé stesso per lasciare spazio all’universo e all’uomo.
L’idea che le creature non derivino più da una sovrabbondanza del principio primo, da una capacità di produrre al di là di sé stesso, ma invece da un ritiro o da una contrazione dell’infinito, sembra un’idea “infinitamente” (è il caso di dirlo) più generosa, che crea non solo creature, ma anche “posti liberi” per permettere loro di circolare con agio.
Questa idea dell’Infinito che si contrae al centro per creare uno spazio vuoto da cui tutto può originarsi, è un concetto che sposta gli assi di riferimento dell’universo: perché se il centro dell’universo è vuoto, non esiste più un centro e la periferia diventa il luogo in cui cercare Dio (inteso laicamente come verità, conoscenza).
A creare la vita e il mondo non è solo l’atto del contrarsi, è l’atto di concentrarsi distruggendo ogni centro, tanto in sé, che nell’altro e nel mondo: siamo tutti decentrati, ed è così che possiamo farci discreti. Al contrario, siamo pronti a scommettere che appena c’è un centro, anche se simbolico o fittizio, non può più esserci discrezione autentica.
Come spiegato qualche tempo fa, il web è uno spazio che strutturalmente e funzionalmente è decentrato perché altrimenti collasserebbe su sé stesso. Ma allora perché quando associamo la visibilità al web pensiamo solo al lato negativo dei suoi prodotti (selfie, click, Facebook…)? La spiegazione potrebbe essere data dal fatto che abbiamo reso questi elementi della comunicazione online dei centri simbolici, smettendo di fatto di andare in periferia a cercare Dio: il selfie o il click sono diventati strumenti sterili, fini a sé stessi che non hanno scopi diversi se non l’autoreferenzialità, il guadagno o l’autocompiacimento. Abbiamo creato di fatto una continuità senza discrezione, una narrazione fluida, un flusso che non si interrompe mai, una vita eterna di morte. Ma questo non vuol dire che siamo senza speranza, anzi, basta in fin dei conti poco per fare un’esperienza di discrezione.
Godere dell’essere discreto vuol dire accettare da subito che non si può godere in eterno. Significa rinunciare davvero, e con grande gioia, alla vita eterna e omogenea, fonte di tanti desideri mortiferi.
La volontà di scomparire si differenzia dalla morte proprio per il suo non essere per sempre: se noi la accogliamo per quello che è, rinunciando quindi all’idea di un’eternità, accogliamo anche la discrezione della natura e soprattutto della vita, intesa come quotidiano, con quello che di positivo e di negativo porta con sé. In pratica quello che noi chiamiamo “vita eterna” è un ossimoro perché se è vera vita non può essere eterna. Al contrario quello che noi chiamiamo morte e che consideriamo come un momento, un passaggio provvisorio e discreto, è senza tempo.
L’esperienza della discrezione gioiosa che possiamo provare è il rovescio esatto dell’esperienza di visibilità democratica profetizzata da Andy Warhol (i famosi quindici minuti); cioè una situazione come quella del flâneur di Baudelaire che, per un tempo finito e sufficiente a sé stesso, diventa anonimo nella folla della città e si sente parte di un tutto più grande e vitale. Tuttavia la figura del flâneur rappresenta un’immagine ambivalente perché se da un lato il “passeggiatore” compie un gesto di resistente volontà nei confronti della società del lavoro, dall’altro è colui che può lasciarsi andare alle esperienze di consumo più superficiali, sia in termini di acquisto di merci sia in termini di fruizione di contenuti, riservando lo stesso trattamento fluido e continuo a tutto: si parli di un’applicazione, di un gadget, di vestiti oppure di cibo, mostre, cinema o informazione.
Tuttavia le esperienze delle dittature del Novecento e dei Grandi Fratelli, narrativi e non (Edward Snowden insegna), che spiano e ci costringono a vivere continuamente nascosti, hanno ridato importanza allo spazio pubblico in cui è necessario ribellarsi attraverso una presa di posizione contraria ed evidente. E dove allora ricavarsi un nuovo rifugio di una personale discrezione.
Perché una vita senza segreto, senza mistero, senza zone d’ombra, senza spazi interstiziali tra sé e gli altri, così come tra sé e sé, è una vita destinata al terrore assoluto e senza limiti, che alla fine distrugge ogni residuo di umanità.