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Lettera aperta a Francesco Costa

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A proposito di Greta Thunberg e dati.

Qualche settimana fa ho letto le sue considerazioni sullo Sciopero globale per il clima di venerdì 15 marzo e mi sono molto rammaricato. In questa lettera, è la prima che scrivo pubblicamente da lettore del suo giornale Il Post, vorrei provare a spiegare il motivo dei miei sentimenti.

Non sono esperto di cambiamenti climatici, riscaldamento globale, comportamento umano e futuro, né tanto meno di scienza; la mia formazione è umanistica e lavoro per una ONG che per giunta non si occupa di ambiente. Tuttavia ho una certa curiosità per il mondo che ci circonda, mondo inteso in senso lato, cioè tutto e mi sforzo di trovare i giusti mezzi per avere i riscontri necessari a imparare quello che mi interessa. Ultimamente, e penso di non essere il solo, mi sto concentrando sul rapporto Terra-uomo.

Partendo dal significato della parola terra, le sue implicazioni, i ragionamenti sull’antropocentrismo e sull’uomo al centro dell’universo, vorrei arrivare a conoscere meglio il pianeta e i suoi ecosistemi che ci permettono di abitarlo. Soprattutto mi piacerebbe trovare il modo corretto per diffondere consapevolezza sul fatto che la Terra, anche se dovesse diventare super inquinata, senza uomo esisterebbe lo stesso perché i suoi tempi e modi hanno regole e dimensioni indipendenti da noi che, a fatica, riusciamo forse a immaginare. A mio modesto avviso il dibattito del momento non si esaurisce parlando solo di cambiamento climatico e riscaldamento globale, ma approfondendo pure la geologia, la biologia, l’esplorazione dello spazio, la geografia… Insomma, l’argomento, come spesso si dice, è molto più complesso e stratificato di quel che sembra, e non vorrei ridurre la discussione a due correnti piuttosto banali:

  • la prima, quella imperativa e attivista del “non abbiamo più tempo, dobbiamo agire subito, comportati così”;
  • la seconda, quella assolutoria e liberista del “noi stiamo facendo il nostro, sono gli altri che devono cambiare”.

In questo senso credo che il suo articolo sullo Sciopero per il Clima e su Greta Thunberg si collochi nel secondo flusso narrativo. Sicuramente il movimento del 15 marzo ha i suoi difetti, ma mi pare di contarne più i pregi, primo fra tutti quello di mettere in discussione il nostro modello di sviluppo con una semplicità disarmante. Quando lei nel suo articolo spiega che Greta Thunberg sbaglia bersaglio, probabilmente non dice il falso, ma non dice abbastanza. Infatti è vero che India e Cina sono tra i paesi in cui l’aria è peggiore e tra i più inquinanti, ma quest’ultimo dato è parziale perché, per offrire un quadro più completo, va diviso pro capite. Questo approccio è spiegato molto meglio di me in un episodio riportato in Factfulness. Dieci ragioni per cui non capiamo il mondo. E perché le cose vanno meglio di come pensiamo di Hans Rosling (Rizzoli, 2018).

Capitolo 5. L'istinto delle dimensioni.

Non so se Greta Thunberg abbia letto questo libro (magari sì, lei è svedese tanto quanto l’autore) e forse, quando lei sostiene che servono strumenti nuovi, non si riferisce direttamente a questo, ma la sua proposta radicale inevitabilmente riguarda anche i criteri di misurazione dell’impatto.

Come avrà letto l’episodio si riferisce al 2007, dodici anni fa. Qualcosa è cambiato da allora? Probabilmente sì. Oltre al libro, il progetto Factfulness è diventato una fondazione che si occupa di diffondere gli strumenti adeguati e comunicativamente efficaci per aumentare la consapevolezza a proposito dei dati sul mondo e le persone. Sul sito gapminder.com trova una tavola composta da assi cartesiani in cui è possibile decidere quali dati inserire nella riga e nella colonna, in questo modo si possono incrociare tutte le combinazioni che si vogliono e mettere in relazione, per esempio, la mortalità infantile con il reddito pro capite, il tasso di fertilità con il livello di educazione delle donne, addirittura, per dire due indicatori apparentemente lontani, l’aspettativa di vita con il livello di corruzione di un paese, eccetera eccetera. Inoltre, come da immagine sottostante, ci sono anche altri indicatori grafici che si possono modificare con voci a piacere, tuttavia la visualizzazione standard prevede che:

  • ogni bolla colorata rappresenti un paese del mondo;
  • la grandezza della singola bolla indichi la popolazione del paese, più grande è più la popolazione è numerosa;
  • il colore della bolle raggruppi i paesi per continenti;
  • in basso ci sia un linea del tempo che, una volta avviata cliccando su play a sinistra, permetta di vedere in modo animato l’evoluzione delle bolle (e quindi dei paesi).

Questa immagine è una panoramica presa mentre confrontavo sull’asse verticale le emissioni di CO2 totali dei paesi in un anno e sull’asse orizzontale le emissioni di CO2 pro capite, cioè lo stesso numero totale ma diviso per la popolazione.

Un altro sito, ourworldindata.org permette di arrivare fino ai dati del 2016 con i grafici qui sotto; la sostanza non cambia.

Emerge quindi un quadro abbastanza diverso da quello descritto dal suo articolo: parlando di CO2 totale, da un lato la Cina sicuramente è il paese che ne emette di più al mondo, quasi il doppio degli Stati Uniti che oltretutto hanno un andamento in discesa, poi arriva l’India e via via gli altri. Tuttavia, se ci riferiamo alla CO2 pro capite, il discorso cambia: escludendo i paesi che per dimensioni sono assimilabili a delle aree urbane (Qatar, Singapore…), sono altri che hanno i valori più alti, per esempio la Norvegia. Il grafico navigabile può essere più pratico per avere ulteriori informazioni.

Capisco che il suo pezzo non aveva l’intenzione di snocciolare dati, ma di affrontare la questione con un’ottica più politica e forse meno scientifica. Su questo nemmeno mi sento di condividere il suo pensiero perché, dal tono usato, ho sentito un certo retrogusto paternalistico e a tratti post coloniale che non mi ha convinto per niente. Credo inoltre che il significato che diamo alle parole sia importante, per questo non riesco ad accostare le frasi di Greta Thunberg ai populismi vari che stiamo vivendo: qui c’è un popolo, quello umano, che pensa sì a sé stesso, ma come se fosse un’unica specie. Non c’è contrapposizione orizzontale, etnica, nazionale o peggio fascista e razziale, in questo sistema c’è un conflitto verticale tra una base e un vertice, tra i molti che soffrono e i pochi che vivono nel lusso e dall’esito di questo dipende molto della nostra sopravvivenza.

Con stima e gratitudine.

Edoardo Faletti


Fonte foto di copertina


Bibliografia #

  • Hans Rosling, Ola Rosling, Anna Rosling Rönnlung, Factfulness. Dieci ragioni per cui non capiamo il mondo. E perché le cose vanno meglio di come pensiamo, Milano, Rizzoli, 2018.